CESA: dove la vendemmia “eroica” si fa ad alta quota

Un piccolo comune Plastic Free difende a denti stretti un raro vitigno a bacca bianca che ha una storia densa di fascino. Il vino che ne deriva, l’Asprinio, si ottiene da viti intrecciate ad alberi di pioppo che possono arrivare ai 15 metri di altezza. Pareti vegetali che sono un museo naturale a cielo aperto in grado di raccontare tradizioni secolari

Cesa è un comune dell’agro aversano di circa 9 mila abitanti. Un comune Plastic Free della provincia di Caserta che è riuscito a scrollarsi di dosso l’immagine negativa della Terra dei fuochi e a distinguersi per le buone pratiche ambientali e la produzione vitivinicola di nicchia. Cesa è infatti il polmone vitale della produzione dell’Asprinio, un vitigno a bacca bianca arrivato in Campania tra l’VIII e il VI secolo a.C. e poi cresciuto in questo preciso luogo adattandosi perfettamente al territorio che lo ospita. Un vino DOC leggero e brioso, oggi utilizzato soprattutto per la produzione di spumante, coltivato ancora oggi con il sistema della vite “maritata”, vale a dire facendo arrampicare i tralci di vite attorno ad alti pioppi, che fungono da tutori, formando vere e proprie barriere vegetali. Pareti monumentali trapuntate di luce, dalle quali, verso la fine della stagione estiva, cominciano a risaltare gioielli scintillanti sotto forma di grappoli.


La vendemmia eroica. Quella della vita maritata è una tecnica antichissima praticata per la prima volta dagli Etruschi ome rimedio ante littteram al consumo del suolo. Un sistema largamente diffuso in Campania (fino agli anni ’60 si contavano almeno 16mila ettari destinati alle alberate), quasi scomparso negli anni ’70 e oggi limitato a piccolissimi appezzamenti dell’agro aversano spesso non più grandi di un ettaro. Un tesoro dal valore inestimabile difeso a denti stretti dai piccoli “vilignatori” di Cesa. La tecnica di coltivazione, infatti, che non è solo scenografica ma serve soprattutto a preservare la pianta dalle condizioni di umidità sfavorevoli e dalle malattie, è anche molto ostica. Non a caso la raccolta dell’uva Asprinia è definita “eroica”. A metterla in pratica sono dei coltivatori esperti che, con l’abilità degna di un acrobata, riescono ad arrampicarsi fino a 15 metri di altezza con l’ausilio del proprio “scalillo”. Si tratta di una scala stretta e ripida realizzata artigianalmente come se si trattasse di un vestito su misura. I pioli, infatti, sono posti a una distanza tale da permettere a quel viticoltore, e a lui soltanto, di incastrarvi il suo ginocchio e avere entrambe le mani libere per raccogliere l’uva e riporla nella “fercina”, il tipico cesto di vimini appuntito alla base che, se calato rapidamente, si incunea nel terreno senza rovesciarsi.


Il festival del vino. Una tradizione, dunque, unica al mondo che la comunità di Cesa sta cercando di preservare e valorizzare con diverse iniziative. Prima fra tutte, l’Asprinum Festival, diventato appuntamento fisso per la tutta la provincia e non solo. Il festival, una tre giorni dedicata al vino Made in Cesa, vede l’intero paese inebriarsi dei colori e dei profumi del vino Asprinio, mentre le strade si affollano di persone. Uno dei momenti clou è costituito da “Grotte Aperte”, un vero e proprio viaggio nel tempo tra le corti e le grotte tufacee usate per la conservazione degli alimenti e del vino. Ancora oggi le grotte, assieme alle alberate rappresentano un patrimonio storico incredibile di tutto l’aversano.


Il museo diffuso. Un altro luogo legato alle tradizioni e alla storia di Cesa è l’Asprinum Museum Art, un museo di recente inaugurazione nato dalla sinergia tra il Comune e la Pro loco. Si tratta di un museo diffuso che racconta lo stretto rapporto tra il territorio e la sua comunità anche attraverso l’uso della tecnologia e della realtà aumentata, trovando il suo compimento tra le strade del centro storico, passando per le grotte e le alberate di campagna.

La vite “maritata”. Gli Etruschi sono stati i primi in Italia a coltivare la vite appoggiandola ad altri alberi. Questa modalità è stata chiamata a partire dai romani vite “maritata”, perché la pianta è come sposata all’albero a cui si avvinghia. Nelle terre conquistate dagli Etruschi, in Campania estese fino al corso del fiume Sele, questa tecnica si è diffusa ampiamente, ma è stata quasi abbandonata in epoca moderna perché troppo complessa e perché non permette il passaggio dei mezzi agricoli nei campi. Le preziose alberate sono state in molti casi espiantate per favorire piante da frutto più facili da piazzare nei mercati ortofrutticoli. Oggi, però, sono colture di nicchia che vengono riscoperte.

Ambiente Magazine

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