l dibattito ha portato ad importanti referendum e quantomeno in Italia la dottrina giuridica, il legislatore e la giurisprudenza sono giunti a considerare l’acqua come bene pubblico, diritto imprescrittibile e personale per ciascun individuo.
Tuttavia, in concreto, è davvero così?
Il questito non vuole in alcun modo criticare il fatto che l’acqua sia un bene pubblico ma, piuttosto, vuole porsi il problema se, nella law in action, il concetto di acqua pubblica sia davvero pienamente operativo: non a caso, le campagne di privatizzazione dell’acqua continuano, nonostante tutto, ad avanzare, ed oggi, soprattutto nelle grandi città, possiamo notare che la gestione dell’acqua è stata sostanzialmente esternalizzata dallo Stato – di concerto con le città metropolitane – a enti parastatali se non addirittura ad enti costituiti a capitale escluviamente privato.
Ciò non ha nulla a che vedere con la nozione di acque private, di cui in seguito si
dirà, ma sicuramente, si può logicamente dedurre dalla suesposta argomentazione che esistono “acque privatizzate” ed è proprio con tale categoria di acque che il dibattito verso la pubblicizzazione delle acque dovrebbe confrontarsi.
In particolare, gli utenti sono soliti corrispondere un corrispettivo ai Comuni ovvero a società private o a partecipazione pubblica per l’utilizzo dell’acqua potabile a fini igienici o gastronomici (ad es. pulizie di casa, cottura e preparazione di cibi).
Inoltre le industrie, eccezion fatta per i piccoli imprenditori e, forse, anche per
le piccole imprese agricole con operai inferiori a 15 unità, corrispondono ai comuni corrispettivi per la fruizione dell’acqua.
Pertanto, se l’acqua fosse davvero un bene pubblico e, come tale, diritto inalienabile di tutti i cittadini, dovrebbe probabilmente intendersi tale bene come gratuito e materialmente disponibile per tutti. Ad esempio, la normativa del Codice Civile Italiano – che riconosce come pubblici e, sostanzialmente, appartenenti allo Stato, quali beni demaniali, i fiumi, i laghi, i torrenti, i rivi ed il mare nei limiti del c.d. “mare territoriale” – si confronta oggi con il fatto che, comunque, esistono laghi privati ed è stato appurato che in alcuni grandi laghi italiani, vi sono casi in cui pescatori corrispondono un emolumento per l’esercizio del diritto di pesca.
Pertanto, il quesito se sia più equo per le persone disporre di un’ acqua come bene pubblico ma, sostanzialmente, ancora in larga parte privatizzato, ovvero mantenere viva la nozione di acque private a fronte di piccoli emolumenti associassonistici corrisposti ai proprietari è ancora aperto.
Ad ogni modo, il Codice dell’ambiente ed alcune leggi del novecento hanno mantenuto vivo il diritto per coloro che utilizzano l’acqua per fini domestici e, quindi, non imprenditoriali, di disporre dell’acqua contenuta nei terreni di loro proprietà.
Ad esempio, coloro che hanno nel terreno di proprietà un pozzo, ovvero un
lago, ovvero una sorgente, possono utilizzare liberamente tale acqua per scopi domestici quali l’abbeveraggio del bestiame, l’innaffiamento degli orti e dei giardini e, ancora, possono imbottigliarla e venderla nel rispetto delle disposizioni sulle acque sorgive, minerali e termali.
Questo può accadere specialmente nelle campagne, laddove l’agricoltura è diffusa ed è frequente incontrare famiglie che posseggono uno/due animali da foraggio, galline, polli e coniglie che, in house, utilizzano l’acqua disponibile sui terreni di loro proprietà.
Infine, secondo alcuni recenti provvedimenti del Tar e del Consiglio di Stato anche l’acqua contenuta nelle darsene private è da considerarsi acqua privata: dubbi si pongono sull’acqua utilizzata per il nutrimento delle risaie.
Secondo quanto previsto dal Codice Civile in alcuni, pochi articoli, inclusi nel libro dedicato proprietà, e dal nuovo Codice dell’Ambiente, coloro che utilizzano l’acqua per i fini sovra esposti possono liberamente disporre dell’acqua su tali fondi, con lo scopo di non arrecare pregiudizio ad altri e di non attuare attività imprenditoriale su larga scala. Per questo motivo costoro, proprietari di campi adiacenti, si possono associare liberamente e corrispondere quote per la gestione ed il mantenimento di tali acque che, sovente, scorrono su piccoli canali di irrigazione che apprestano nutrimento ai campi confinanti, senza dover richiedere ai Comuni titoli abilitativi e concessioni.
Quest’ultimo è un tema pertinente con gli usi delle acque nella piccola agricoltura, o, meglio, nell’agricoltura domestica, praticata da coloro che, senza scopo imprenditoriale, dispongono di qualche animale, di un appezzamento di terreno e dell’acqua ivi sgorgante.
In conclusione, mentre sul concetto di acqua come bene pubblico non vi è nulla da dire perchè, effettivamente, l’acqua è un bene pubblico, si pongono ancora oggi delicate questioni sulla patrimonializzzione di tale diritto poiche’, volente o nolente, sia nel pubblico sia nel privato, è richiesto un compenso per l’erogazione e la fruizione di tale risorsa da parte dei cittadini.
Questo è più comprensibile per coloro che vivono nelle grandi città, ma meno
comprensibile per coloro che vivono nei piccoli centri agricoli.
Acque pubbliche e acque private nell’agricoltura domestica
Il tema dell’acqua è ampio poiché richiama, in primo luogo, un bene/risorsa di prima necessità per le persone e ciò a prescindere dal contesto sociale e dal territorio in cui conducono la propria vita poiché senz’acqua non si vive. In
secondo luogo, il dibattito sull’acqua ha assunto, a muovere dalla metà del secolo scorso, dimensioni importanti in considerazione di coloro che, negli anni, hanno sostenuto la tesi dell’acqua come bene privato e coloro che hanno sostenuto la tesi, oggi maggioritaria, dell’acqua quale bene pubblico