Sono anni che non acquisto più frutta nei supermercati ma di recente ho fatto un giro per rendermi conto della situazione in essere tra gli scaffali. Eccesso di packaging e lustrini da cinema sono le prime cose che colpiscono all’ingresso.
Le tecniche di visual merchandising pongono il reparto frutta e verdura quasi sempre all’inizio del tour del consumatore. Le zone predisposte alla vendita sono segmentate in calde e fredde a seconda dell’indice di frequenza dei consumatori agli scaffali, ogni gondola diventa quindi un palcoscenico e la frutta, vestita da gala appaga gli occhi degli avventori con il suo vestito della domenica. Ed è proprio qui che si possono notare i tocchi magici del marketing! Lo shelf marketing è l’insieme di tecniche utilizzate nelle attività commerciali per disporre le merci sugli scaffali.
La traduzione netta è marketing dello scaffale ed ha l’obiettivo di incrementare le vendite catturando l’attenzione ed influenzando alcuni aspetti psicologici dei clienti, verso la decisione d’acquisto.
Anche le tecniche più consolidate di vendita come l’up-selling ed il cross-selling sono complementari alle tecniche di visual merchandising e non ci vedo nulla di male in questo. Le neuroscienze, inoltre, soprattutto negli USA ed in realtà molto strutturate vengono studiate ed applicate dalla fase di corporate identity a quella di shelf marketing.
Le tecniche di vendita quando sono applicate per dare un vantaggio reciproco a venditore ed acquirente alzano l’asticella del livello qualitativo dei prodotti e dei servizi. Gli aspetti che vengono maggiormente considerati sono quello della gestione della zona di esposizione e quello della valorizzazione della stessa.
La prima “area calda” quindi è il reparto ortofrutta che propone al consumatore un ambiente salutare, impreziosito da colori e forme che attirano lo sguardo. Scaffalature a muro e gondole a centro reparto sono la consuetudine per quasi tutti i supermercati.
I prodotti vengono distribuiti per categoria ed alcuni punti vendita sono ulteriormente forniti di celle frigorifere dove sono allocati prodotti a base frutta o con verdure.
Provenienza merci spesso non facilmente identificabile se non che nella frutta e verdura confezionate e tanta, troppa plastica.
Gli aspetti determinanti delle azioni di shelf marketing nella mia opinione non sono criticabili sulla carta e anzi possono fare crescere la qualità, quello che non
condivido e critico è l’abuso delle tecniche di marketing per fini esclusivamente lucrativi. Un esempio pratico è l’aspetto dell’illuminazione degli scaffali che tanto quanto la disposizione della merce sono determinanti per la scelta d’acquisto e non possono alterare le caratteristiche primarie dei prodotti, come il colore nel caso della frutta. C’è una linea di demarcazione tra una luce che conferisce valore alla frutta e una luce che ne altera una delle caratteristiche principali proprio perché prima acquistiamo con gli occhi. Quanta consapevolezza c’è dietro all’acquisto di un paio di arance del marocco confezionate nel polistirene? Quanta consapevolezza c’è dietro all’acquisto di un frutto del quale non si conosce nulla se non che il suo aspetto, perlopiù spesso condizionato?
La conoscenza passa attraverso il concetto di crescita ed è il vero obiettivo che la società deve porsi in ambito di consumo sostenibile.
Non possiamo delegare alla GDO l’onere di far conoscere la verità che porta con sé il super potere della frutta, semplicemente perché non è suo dovere ed è parte terza, quell’onere è da distribuire nella libera collettività.
Dobbiamo insegnare ai nostri figli a riconoscere la frutta perché possano essere degli adulti consapevoli e dei consumatori illuminati.
Riportiamo nelle campagne i nostri figli a toccare con mano la natura, che non è quella tagliata e confezionata in atmosfera modificata che alcuni istituti scolastici
propongono loro come merenda sana.
Sono convinto che ogni passo in avanti che faremo nell’upgrade culturale sarà un funzionale intervento sulla curva di domanda del mercato della frutta.