Parchi e overtourism, gli strumenti per prevenirlo 

di Amina D’Addario 

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Non solo le grandi città d’arte, anche le aree naturalistiche del nostro Paese si interrogano sulle soluzioni per gestire flussi turistici eccessivi e limitarne l’impatto sul territorio e sugli ecosistemi fragili. Un fenomeno in continuo aumento, oggi tornato al centro del dibattito pubblico 

L’overtourism rappresenta una grande sfida per molte destinazioni del nostro Paese. Lo è per le grandi città d’arte come Roma, Venezia e Firenze, ma lo è anche per i parchi e i siti naturali più conosciuti che, in alcune stagioni dell’anno, si trovano a gestire flussi eccessivi di visitatori con i relativi pericoli legati alla sostenibilità ambientale. Aree delicate come le spiagge, i parchi naturali o le riserve marine possono, infatti, subire danni anche irreversibili dalla pressione esercitata dai turisti. Senza contare gli effetti sulla qualità della vita delle comunità locali, messe a dura prova dalla convivenza con le masse di visitatori spesso mordi e fuggi.

Un fenomeno recentemente tornato al centro del dibattito pubblico, ma non letto da tutti allo stesso modo. Se per alcuni l’overtourism è infatti un problema che va contrastato e combattuto con ogni mezzo, altri ritengono che bisogna solo organizzare meglio i flussi turistici. Ma dove sta la verità? Quello che è certo è che non tutti i parchi della Penisola sono alle prese con questo tipo di fenomeno. In Italia ci sono 24 parchi nazionali, 133 parchi regionali e quasi 550 tra riserve naturali e aree marine protette – i numeri sono quelli di Federparchi -, ma si contano sulle dita di una mano le realtà che in certi periodi dell’anno soffrono per flussi eccessivi di visitatori. Uno dei casi più eclatanti è quello del Parco delle Cinque Terre, un paradiso naturalistico già Patrimonio Unesco dal 1997 che conta quasi 4mila ettari di territorio, 130 chilometri di sentieri e 5 piccoli borghi costieri famosi in tutto il mondo. Ma anche 3,4 milioni di presenze turistiche solo nel 2023, che il Parco, il primo a livello nazionale a dotarsi di una Voluntary Review in attuazione dell’Agenda 2030, punta ora a gestire in maniera sostenibile. Ma come? Secondo uno studio redatto da Mic Hub, società internazionale composta da ingegneri, architetti, progettisti e consulenti, la maggior parte dei turisti è concentrata in un’area molto ristretta e più facilmente fruibile: 1,3 chilometri quadrati di territorio, pari ad appena il 3% del parco. L’85% dei turisti visita il sito tra aprile e settembre, mentre la vera criticità si riscontra solamente durante circa venti giorni l’anno tra weekend, ponti e festività.

Dati che, secondo la presidente del Parco Nazionale Cinque Terre, Donatella Bianchi, dimostrano che si tratta non solo di un fenomeno limitato nel tempo e nello spazio, ma anche che si possono adottare delle soluzioni efficaci per regolare i flussi senza perdere visitatori. Si va dalle tariffe variabili in grado di incentivare gli arrivi in bassa stagione, alla gestione dell’affluenza al parco attraverso l’intelligenza artificiale, passando per la prenotazione obbligatoria in certi periodi dell’anno, fino all’introduzione dei sensi unici nei sentieri durante i periodi di massimo affollamento. Fondamentale, poi, informare correttamente il visitatore prima del suo arrivo, aiutarlo a scegliere i percorsi di visita migliori e incoraggiarlo a restare e conoscere il territorio secondo dinamiche slow. Ma il Parco delle Cinque Terre non è l’unica realtà italiana a promuovere il turismo cercando di mitigarne l’impatto sul territorio. Con 45 parchi certificati nel 2022, l’Italia è infatti il paese europeo con il maggior numero di parchi che hanno ottenuto il riconoscimento della CETS, la Carta Europea del Turismo Sostenibile rilasciata da Europarc Federation. Un riconoscimento che si sta diffondendo sempre di più nelle aree protette grazie all’azione di coordinamento di Federparchi e che si ottiene solo elaborando strategie e piani d’azione particolareggiati volti a produrre benefici per le comunità, per l’ambiente e per lo sviluppo delle comunità. Il percorso della Carta si articola in tre fasi che prevedono progressivamente, oltre alla certificazione dell’ente gestore, il coinvolgimento degli operatori turistici locali e di tutti i soggetti interessati, al fine di garantire sempre il bilanciamento fra tutela ambientale e sviluppo dei territori. 

Ambiente Magazine

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