TRATTATO GLOBALE SULLA PLASTICA: Le aspettative tradite da un nuovo nulla di fatto

Nell’immagine di copertina una riproduzione della famosa scultura di Auguste Rodin “Il Pensatore” sommersa da rifiuti di plastica, tra cui imballaggi, bottiglie, giocattoli e reti da pesca, davanti alla sede dell’ONU a Ginevra, dove si sono svolti i colloqui per un trattato globale sui rifiuti in plastica dal 5 al 14 agosto. Foto di Paolo Monesi “inviato speciale” della nostra testata nazionale AMBIENTE Comunità Sostenibili.

Dal 5 al 14 agosto 2025 si sono svolti presso le Nazioni Unite di Ginevra i negoziati per arrivare alla firma del Trattato Globale sulla Plastica sotto l’egida della UNEP (United Nations Environmental Program). Oltre 180 delegazioni presenti in rappresentanza di altrettante nazioni si sono date appuntamento in questo secondo round della quinta sessione di negoziati indetta a seguito del “nulla di fatto” della quinta sessione di negoziati  svoltasi a fine 2024 a Busan in Corea del Nord.
Questa volta più che mai negli ultimi anni si è vista una grande presenza della società civile organizzata nelle centinaia di organizzazioni che lottano per arginare il problema della plastica e che hanno seguito i lavori come “osservatori”.

Installazione artistica “The Thinker’s Burden” (“Il fardello del pensatore”)

Per l’Italia l’unica realtà organizzata presente è stata Plastic Free Onlus che dal 2019 mobilita decine di migliaia di volontari impegnati nella pulizia ambientale ai fini della sensibilizzazione di autorità e cittadini sul problema dell’inquinamento da plastica.
Come sempre a questi appuntamenti si è palesata la presenza di oltre 200 lobbisti dell’industria fossile e chimica all’interno delle varie delegazioni mondiali e nonostante l’obbligo di manifestarsi in modo trasparente, sono stati determinanti per le posizioni negoziali delle nazioni produttrici di petrolio e quindi meno ambiziose.

Ma vediamo più nel dettaglio i vari punti di discussione e dove si sono generate le divisioni principali tra le nazioni presenti.

I 4 punti chiave di discussione:
– Taglio alla produzione
– Chimica nella plastica
– supporto e fondi per la transizione
– Fine vita dei rifiuti

L’ostruzione di alcuni paesi produttori di petrolio sta principalmente nel punto 1.
Mentre l’uso di petrolio per trasporto è in calo e lascia posto alla trazione elettrica, l’industria fossile sposta parti sempre maggiori di petrolio verso la produzione di plastica e pertanto non accettano limiti alla produzione di nuova plastica vergine fossile. Questo blocco di nazioni ovviamente è composto dai produttori di petrolio sparsi in tutti e 5 i continenti con a capo gli Stati Uniti, Arabia Saudita e un altra ventina di nazioni “c.d. Like minded nations” da sempre al fianco dell industria fossile di cui proteggono gli interessi mettendo in campo la loro influenza politica ed economica. Tra queste quelle “in via di sviluppo” che vogliono usare le proprie risorse fossili per il proprio sviluppo sostenibili.
A questi paesi si contrappone il gruppo più numeroso definito “High Ambition Coalition (HAC)” che comprende l’Europa, l’Africa e molti paesi minori che invece spinge per trovare accordo sul limitare la produzione prevista in continua crescita.

Sul taglio alla produzione niente di nuovo nemmeno riguardo la plastica monouso, la cui limitazione parziale o totale pare venga ancora rimandata alla volontà delle singole nazioni e quindi ridotta di portata e forza.
Il monouso rappresenta una importante quota della plastica prodotta ed è quella più presente in numeri assoluti sul pianeta e che viene declinata in miliardi di applicazioni di uso quotidiano ed è la parte maggiormente dispersa in ambiente che andrebbe da subito limitata.

Un punto molto discusso è anche quello sulla chimica impiegata in quantità massiccia nella produzione di plastica fossile. Questo è il punto su cui si concentra la valutazione della comunità scientifica del problema plastica.
Diverse sostanze infatti, c.d. “chemical of concerns”, non sono mai state testate correttamente in rapporto alla salute umana. L’interferenza di alcune sostanze (come il bisfenolo) è nota ma mancano approfondite ricerche sull’intera serie di prodotti di sintesi utilizzati nella produzione di plastica soprattutto se usata per alimenti e bevande.
In tale contesto un punto molto dibattuto è stato quello relativo all’inserimento del concetto generale di “impatto sulla salute umana” che faciliterebbe anche la valutazione della chimica nella plastica. Ma anche qui, nuove aperture e nessun accordo quindi l’impatto sulla salute umana non entra ancora nel testo finale.

Una ulteriore frattura tra i paesi impegnati nella negoziazione risiede nella capacità economica e strutturale di affrontare una possibile transizione verso alterative alla plastica più sostenibili. È ovvio che vi siano nazioni con la necessaria capacità e altre che ne sono prive in diversa misura. Tra queste ci sono le istanze di paesi dell’area asia-pacifico come Fiji, Palau e altri che devono affrontare un problema del quale non ricevono i vantaggi economici ma solamente gli effetti negativi ricevendo via mare i rifiuti plastici dispersi da altre nazioni lontane e sono privi di mezzi per arginare il problema e spingono quindi per scelte più ambiziose chiedendo al contempo fondi per la difesa dei propri delicati territori.
La posizione di alcuni paesi definiti più ambiziosi come l’Europa sarebbe inoltre  quella di non concedere sconti ai paesi che chiedono più tempo e fondi per affrontare la transizione. Questo per evitare che un futuro accordo possa applicarsi con tempi e modi differenziati rischiando di perdere efficacia.

Il quarto punto su cui vertono le negoziazioni riguarda il fine vita della plastica prodotta ovvero tutto ciò che riguarda la gestione del rifiuto. Su questo aspetto puntano i paesi meno ambiziosi e che sostengono di non limitare la produzione ma concentrarsi piuttosto sui sistemi di raccolta, selezione e riciclo della plastica. Sicuramente un punto necessario e fondamentale per arginare il problema più evidente ovvero la dispersione nell’ambiente terrestre e marino della plastica con le problematiche conseguenze che questo ha sulla salute animale ed umana. Va detto che ciò concentra gli sforzi lontano dalla questione produttiva lasciando il problema nelle mani dei consumatori che pagano i servizi di gestione dei rifiuti che dovrebbero necessariamente essere potenziati richiedendo ulteriori spese per tutta la popolazione mondiale. Fino ad oggi il riciclo a livello globale non supera il 10% della plastica prodotta e comunque inadeguato a rincorrere una produzione in continua crescita e che genera elevati costi sociali senza rappresentare una vera soluzione.
Il design sostenibile di prodotti e imballaggi con focus sulla facilitazione del loro riciclo o riuso (riducendo inprimis i costi di raccolta e selezione) appare lontano dal trovare modalità scalabili a livello di sistema.
Anche sull’EPR, la responsabilità estesa del produttore non si è riusciti a trovare un accordo vincolante.

Le divisioni sono state tali che l’ultima bozza di accordo non poteva che essere “al ribasso” eliminando ogni riferimento al taglio della produzione concentrandosi in maniera miope solo sul fine vita della plastica. Nessun accordo nemmeno sui fondi necessari a sostenere i paesi meno strutturati e tralasciando le avvertenze della scienza sulla chimica presente nella plastica.
Molte delegazioni di fronte a tale bozza hanno protestato fortemente prima dei lavori dell’Assemblea plenaria del 13 agosto definendo il testo “inaccettabile e irricevibile” o addirittura contrario al mandato negoziale. Ciò ha obbligato il presidente dell’Assemblea a rimandare più volte l’avvio dei lavori per poi alle 19, chiudere la sessione in 3 minuti rimandando al 14 agosto l’ultima discussione mentre tutta la sovietà civile manifestava ilproprio disappunto fuori e dentro ai palazzi.
Il 14 agosto si è manifestata ancora più evidente la mancanza di accordo e di coraggio rimandando ancora diverse volte la plenaria con un ulteriore tentativo fuori tempo massimo che di fatto non ha prodotto nemmeno una nuova revisione del testo lasciando tutto in stallo rimandando ad un nuovo round di negoziazioni per la fine del 2025.

Anche il modello decisionale ha iniziato a scricchiolare con i paesi meno ambiziosi che fanno ostruzione insistendo sulla decisione in base al “consenso” ovvero l’accordo unanime di tutti, mentre i paesi più ambiziosi cominciano a ritenere necessario un meccanismo che permetta loro di negoziare un trattato anche senza uanime consenso. Una maggioranza approvativa e qualificata di almeno 2/3 sarebbe prevista già nelle regole procedurali dell’Assemblea ma non si è avuto il coraggio di superare l’unanime consenso ritenendo che solo così l’accordo avrebbe forza e vincolo legale globale.

La delusione di molte delegazioni e della società civile è stssa evidente e continua nei giorni successivi con massicce campagne di comunicazione volte a palesare la distanza della politica e dei grandi profitti dalle questioni ritenute vitali dalla popolazione mondiale.
Nonostante gli sforzi dell’Unep di trovare una sintesi positiva per questo passaggio negoziale, nella sostanza nulla di efficace è stato messo in campo per arrivare ad un accordo. Come dichiara Inger Andersen, Executive Director dell’UNEP, “anche se il risultato dei lavori ha lasciato scontente molte delegazioni, per la prima volta gli stati sono entrati in negoziazioni molto profonde, entrando come non mai nel dettaglio della complessità e mostrando chiaramente ognuna le proprie posizioni. L’Unep crede sia arrivato il momento per scrivere regole globali ed insisterà per priseguire efficacemente i negoziati ed arrivare al miglior accordo possibile”.

Nel frattempo la produzione corre a ritmi elevati e la dispersione in ambiente, complice le politiche di fine vita inadeguate, continua a rappresentare una seria minaccia per la vita sul pianeta. Una minaccia che pare non sia ancora venuto il momento di disinnescare nonostante le evidenze sotto gli occhi di tutti e nonostante la pressione della maggioranza delle nazioni e della società civile che si è sentita tradita dalla mancanza di visione politica e dall’incapacità di decidere con coraggio in favore del benessere collettivo.

Paolo Monesi, direttore Octopolis Foundation e ideatore di Single Use Planet

Ambiente Magazine

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