END OF WASTE: L’EMBLEMA DELL’ECONOMIA CIRCOLARE

End-of-Waste (quando un rifiuto cessa di essere rifiuto) è un concetto introdotto dalla “Strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti”, adottata dalla Commissione europea nel 2005, con cui individuare tutte le condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto (articolo sul numero 127 della nostra testata Ambiente – settembre 2023).

La Direttiva Quadro sui rifiuti, n. 2008/98/CE, ha introdotto una gerarchia di approccio che ogni stato membro deve applicare in materia di prevenzione e gestione dei rifiuti:

a)      prevenzione;

b)      preparazione per il riutilizzo;

c)      riciclaggio;

d)      recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia;

e)      smaltimento.

Subito dopo il principio di prevenzione, oggi ritornato prepotentemente in auge, rappresentato dal dovere di impedire che si realizzi un evento dannoso troviamo il principio di “preparazione per il riutilizzo”. Ciò significa che ogni stato membro deve fare in modo che un oggetto venga riutilizzato, mentre il suo riciclo è solo uno step secondario.

In questo solco si colloca l’End of Waste, quale strumento di preparazione per il riutilizzo di un rifiuto.

Si tratta del procedimento introdotto dalla Direttiva Quadro sui rifiuti, n. 2008/98/CE art. 6, che ha disciplinato la cessazione della qualifica di rifiuto, con l’obiettivo di ridurre la produzione attraverso materie prime vergini ed incentivare il riutilizzo (ecco perché l’emblema dell’economia circolare).

Il D.Lgs. n. 152/2006 T.U.A. – Testo Unico Ambientale – ha recepito la Direttiva Quadro con l’introduzione dell’art. 184 ter comma 1, secondo cui un rifiuto cessa di essere tale quando viene sottoposto a un procedimento di recupero/riciclaggio e preparazione per riutilizzo in 4 casi ben precisi, quando:

a) il materiale (sostanza od oggetto) è comunemente utilizzato per scopi specifici;

b) esiste un mercato o una domanda per tale materiale;

c) il materiale soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;

d) l’utilizzo del materiale non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana.

Un rifiuto, dunque, cessa di essere considerato tale ed è idoneo ad essere immisso sul mercato solo quando rispetta i 4 requisiti stabiliti dall’art. 184 ter, comma 1, del T.U.A.

Il punto b) dell’art. 184 ter (esiste un mercato o una domanda per tale materiale) ha una sua particolarità e rappresenta un requisito di “garanzia” per l’ambiente.

È necessario, infatti, che per quello specifico prodotto esista realmente una domanda sul mercato e che abbia un suo “mercato”; il prodotto finale oltre ad essere usato per scopi specifici (lett. a), soddisfare i requisiti tecnici e la relativa normativa (lett. c) e non impattare negativamente sull’ambiente (lett. d) deve trovare una domanda/richiesta o un mercato (lett. b), per non rischiare di essere disperso nell’ambiente.

Sarebbe il colmo che un prodotto ottenuto dalla lavorazione di rifiuti venisse, poi, disperso nell’ambiente perché privo di una domanda sul mercato.

Chi stabilisce ed autorizza che un rifiuto può cessare di essere considerato tale (EoW)?

Le procedure sono previste dalla parte IV del T.U.A.

La lavorazione dei rifiuti in prodotti avviene attraverso specifici impianti di recupero, nei quali vengono conferiti e trasformati in prodotti da immettere sul mercato.   

Per la realizzazione degli impianti di recupero è necessaria un’autorizzazione specifica (l’Autorizzazione Unica Ambientale – AUA), che si ottiene attraverso il coinvolgimento formale delle amministrazioni pubbliche competenti. Inizialmente il rilascio competeva alle Regioni.

In seguito ad una recente sentenza del Consiglio di Stato, emessa il 28.02.2018 n. 1229, è stata interpretata letteralmente la Direttiva Quadro (2008/98/CE) stabilendo che il potere di determinare la cessazione della qualifica di rifiuto è riconosciuto in capo allo Stato, non più alle Regioni!

La sentenza ha generato il “panico” tra i gestori degli impianti End of Waste, soprattutto tra coloro che erano in attesa del rinnovo dell’autorizzazione. La soluzione però non ancora è stata trovata e si è in attesa di un intervento normativo ad hoc.   

L’EoW (End of Waste) rappresenta il “virtuosismo” per eccellenza della “Circular Economy”, poiché con questo approccio il rifiuto torna ad essere prodotto da immettere sul mercato, all’esito di uno specifico ciclo di recupero. Rappresenta, inoltre, uno strumento molto importante per la riduzione del consumo di prodotti realizzati con materie vergini, sia di recupero di rifiuti attraverso la creazione di nuovi prodotti da immettere sul mercato.

Andrebbe incentivato questo virtuosismo significa incentivare la Circular Economy e l’innovazione sostenibile, nel rispetto dell’ambiente e delle generazioni future.

Avv. Giuseppe Fabbiano

Esperto in Diritto Amministrativo e Diritto Ambientale

Ambiente Magazine

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