Le comunità energetiche per una nuova energia, il ruolo della rete e il loro apporto nel processo di transizione energetica

Le comunità energetiche, associazioni tra cittadini, attività commerciali, pubbliche amministrazioni o piccole e medie imprese sono indubbiamente una delle nuove modalità di produzione e consumo in cui il consumatore avrà un ruolo attivo e di maggiore coinvolgimento, orientando le sue scelte sempre più verso sia l’autoproduzione che una gestione efficiente dei consumi

Il Centro elettrotecnico sperimentale italiano – CESI – è leader globale nel campo dell’ingegneria, dell’innovazione, del testing e della ricerca per il settore elettrico; una società fondata nel 1956 da un gruppo di aziende attive nella distribuzione
di energia elettrica e nel comparto elettromeccanico. È indubbio che per raggiungere gli obiettivi del Green Deal 2030 il settore energetico giochi un ruolo determinante, ce ne
vuole parlare?

Matteo Codazzi, CEO di CESI

Il comparto energetico attualmente è responsabile del 22% delle emissioni di gas serra in Italia e sarà oggetto di una profonda decarbonizzazione nei prossimi anni per traguardare gli obiettivi Europei. A differenza di altri settori, la decarbonizzazione del settore energetico può considerarsi relativamente più agevole grazie all’utilizzo del vettore elettrico: infatti, si può agire sulla produzione, sostituendo i combustibili fossili con risorse rinnovabili – il risultato è sempre elettricità, che trova applicazione nei vari usi finali già “pronti” a utilizzare questo vettore. Il settore energetico italiano ha ridotto del 33% le sue emissioni rispetto al 1990, mentre altri segmenti sono più indietro, come i trasporti che hanno aumentato del 3% le proprie emissioni. Dove l’elettrificazione è più difficile, ci vengono però in aiuto altre soluzioni, quali l’idrogeno verde, che possono sensibilmente diminuire le emissioni nei cosiddetti settori “hard-to-abate”. La strada però è ancora lunga: tradurre a livello nazionale gli obiettivi 2030 del Green Deal Europeo significherebbe aggiungere 70 GW di impianti rinnovabili ai 57 GW esistenti, con un tasso di installazione pari a 8 GW annui rispetto alla media di 1 GW all’anno registrata nel triennio 2018-2020. Il raggiungimento di questo risultato farebbe aumentare la quota di rinnovabili nel mix elettrico dall’attuale 40% al 72% nel 2030. Elettricità Futura, l’associazione confindustriale che riunisce i principali attori del settore elettrico nazionale, sostiene inoltre che realizzare 60 GW di nuovi impianti rinnovabili in tre anni permetterebbe al nostro Paese di risparmiare ben 15 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, ovvero il 20% del totale del gas importato, il 50% di quello proveniente dalla Russia.

Dottor Codazzi, cosa s’intendeoggi per comunità energetica?

La comunità energetica è un’associazione tra cittadini, attività commerciali, pubbliche amministrazioni o piccole e medie imprese che decidono insieme di dotarsi di impianti condivisi per la produzione e l’autoconsumo di energia da fonti rinnovabili. Nello specifico, le comunità energetiche permettono di realizzare tre tipi di benefici: ambientali, grazie alla riduzione delle emissioni di CO2; economici, sia attraverso gli incentivi e la restituzione degli oneri sull’energia condivisa sia attraverso il decremento dei prezzi di mercato, così come grazie alla vendita del surplus di energia immesso in rete; non da ultimo, infine, anche benefici sociali, permettendo una maggiore coesione delle diverse realtà territoriali. In Italia, al momento abbiamo circa trenta comunità energetiche e questo numero tenderà a crescere nei prossimi anni, supportato anche dai 2,2 miliardi di euro stanziati dal PNRR per l’installazione di 2 GW di impianti rinnovabili dedicati.

Nel mercato elettrico quali sono i cambiamenti che coinvolgeranno sempre più i consumatori

Le comunità energetiche sono indubbiamente una delle nuove modalità di produzione e consumo in cui il consumatore avrà un ruolo attivo e di maggiore coinvolgimento, orientando le sue scelte sempre più verso sia l’autoproduzione che una gestione efficiente dei consumi. Alcune riforme del mercato elettrico, come l’apertura del mercato dei servizi di dispacciamento, prevedono, inoltre, una partecipazione della domanda, che può aggregarsi con altre unità di produzione e di consumo per fornire servizi a supporto del sistema elettrico, ottenendo in cambio una remunerazione. Il mercato ha risposto con convinzione a questo tipo di iniziativa, con una forte partecipazione in tutto il territorio italiano, andando spesso a saturare i 1.000 MW messi a disposizione da Terna. In linea generale, possiamo dire che è presente un enorme potenziale sfruttabile quando parliamo di Demand Response, cioè la modulazione dei consumi degli utenti finali sulla base delle esigenze della rete elettrica. Al momento, il 2% della domanda globale è disponibile per azioni di Demand Response, mentre al 2030 dovrà rappresentare il 13% del carico per essere in linea con la roadmap di neutralità carbonica al 2050. Per sfruttare interamente le opportunità offerte da questo tipo di flessibilità è però necessario adottare meccanismi di controllo digitali e sistemi di automazione che possano gestire in modo “smart” il consumo di energia, a seconda dello stato della rete elettrica.

In base all’attuale scenario geopolitico e a quello della transizione ecologica, quali sono le risposte possibili da mettere in campo?

La crisi in Ucraina ha fatto emergere il problema della nostra dipendenza energetica e di come nel passato non si sia fatto abbastanza per diversificare le fonti con cui produciamo energia elettrica. Un primo segnale sarebbe dovuto arrivare con l’inizio dell’invasione della Crimea, nel 2014, purtroppo però abbiamo aumentato l’import di gas russo piuttosto che trovare delle alternative. D’altra parte, il percorso di decarbonizzazione che ci vedrà impegnati nei prossimi anni rappresenta sicuramente un tassello importante verso una maggiore sicurezza energetica. Infatti, come accennato in precedenza, se riuscissimo ad accelerare la transizione energetica, con l’installazione di rinnovabili si risparmierebbero circa 15 miliardi di metri cubi, ovvero il 20% del totale di gas importato o, in altri termini, il 50% del gas importato dalla Russia. In più, si potrebbero generare effetti positivi sul PIL nazionale e sull’occupazione.
Parallelamente allo sviluppo di rinnovabili dobbiamo però diversificare i nostri fornitori di gas, cercando di sfruttare al massimo la capacità inutilizzata delle infrastrutture di importazione esistenti, oltre a prevedere un aumento dell’estrazione nazionale di gas e costruire nuovi rigassificatori, così da poter importare e utilizzare il gas naturale liquefatto da una platea di fornitori internazionali sempre più ampia e diversificata.

La sede di CESI

E qual è la nuova sfida?

Come sottolineato precedentemente, siamo in ritardo sulla tabella di marcia delle rinnovabili, con un tasso di installazione insufficiente per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030. Si consideri che in Italia l’anno in cui abbiamo installato più rinnovabili è stato il 2011, con circa 10,5 GW di impianti eolici e fotovoltaici. Quindi, se riuscissimo a ritornare ai livelli di installato del 2011, l’obiettivo sarebbe raggiungibile ma per ottenerlo è di fondamentale importanza semplificare le procedure autorizzative e gli iter burocratici.
Un passo in avanti in questo senso è rappresentato dal recepimento della direttiva Europea RED II. Parallelamente, è necessario continuare a realizzare interventi infrastrutturali a supporto sia dell’integrazione delle rinnovabili nella rete sia dell’espansione della rete stessa che dell’aumento della capacità di storage. Ciò per permettere un funzionamento efficiente e affidabile del nostro sistema elettrico.

Ambiente Magazine

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