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EDITORIALE
Marco Frittella, direttore editoriale
m.frittella@ambiente.news
a recente conferenza del G20 a Napoli dedicata all’ambiente ha
dimostrato come la diplomazia degli Stati sia insufficiente a garantire
una accelerazione del passaggio ad un nuovo modello di sviluppo
ecosostenibile, unico in grado di limitare i danni del Climate
LChange. Benchè la presidenza italiana possa vantare degli indubbi
successi nell’aver fatto approvare un testo finale coinvolgendo i grandi inquinatori
come Cina e India su temi dai quali si sarebbero ritratti solo fino a qualche anno
fa, tuttavia quando si è cercato di stringere un accordo sull’accelerazione della
decarbonizzazione entro il 2025, si è stati costretti a rimandare la discussione a
nuovi appuntamenti, ed è purtroppo prevedibile che con questo rinvio si arriverà
sino a COP26 di Glasgow di novembre 2021: appuntamento che definiamo
certamente cruciale ma su cui forse si appuntano soverchie speranze. Cosa ne
possiamo dedurre?
Ne possiamo dedurre che se abbiamo una speranza di compiere la transizione
in tempi relativamente brevi, questa risiede nella forza della società e
dell’economia, nella pressione dei giovani e delle associazioni ambientaliste,
nella dinamica inarrestabile del green business e nell’avanzamento della
ricerca tecnologica e della scienza. C’è una forza delle cose che supera anche
il più sofisticato accordo diplomatico e c’è una forza della natura che rischia
di stravolgere la nostra vita e quella del Pianeta: tutto sta a capire chi vincerà
questa corsa contro il tempo. Del resto, non è forse vero che proprio negli
anni della presidenza negazionista di Donald Trump, l’utilizzo del carbone
negli Stati Uniti sia tornato ai livelli del 1995?
Questo non lo diciamo, beninteso, perché sottovalutiamo il peso della politica
degli Stati ma perché ricordiamo che lo storico accordo di Parigi di sei anni fa
non è servito a imprimere la decisa sterzata che era necessaria, e oggi paesi
come la Cina, l’India, l’Australia, il Brasile continuano a dipendere largamente
dal carbone e non accettano di accelerare la conversione delle loro economie per
fermare l’aumento della temperatura a 1,5 gradi Celsius, oltre il quale i danni
diventeranno ingestibili.
Se le leadership sono deboli, i popoli possono manifestare
la loro forza. Nei comportamenti individuali e nell’azione
collettiva. In questo fortunatamente l’Italia, per il terzo
anno di seguito leader europeo di economia circolare
e di riciclo dei rifiuti, è in prima fila: con le sue
contraddizioni, certo, ma anche con tante potenzialità.
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